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Il nostro LIBRO


amaiorani » 16 anni fa
..... Mi ritrovai a Incisa (ben oltre la deviazione per Perugia) e questo mi aiutò a decidere che non sarei più tornato indietro: indietro verso casa, indietro, verso Perugia, indietro da Cecilia. Lo zaino col sacco a pelo, una giacca, un maglione e un paio di cambi ce li avevo; quello che i mancava erano dei soldi e un posto dove andare. Non che al momento me ne importasse alcunchè ma col passare delle ore il pensiero di mettere qualcosa nello stomaco (non mangiavo dalla mattina a colazione ed erano oramaile otto di sera) e trovare un riparo per dormire (il cielo non era proprio sereno, anzi aveva fatto pure qualche goccia di pioggia) si erano fatti sempre più strada in me.
Camminai per la campagna fiorentina e girovagando senza meta mi ritrovai fermo a fissare un bella casa di campagna. In effetti non ero fermo lì per caso ma perchè dalla casa usciva un intenso profumo di pane appena sfornato. Il contadino che mi guardava dalla finestra, dopo un paio di minuti mi disse: "Ovvia! Invece di sta lì come na statua entra dentro che fori piove!"
In effetti aveva iniziato a piovere abbastanza e io mi stavo fradiciando niente male. Mi destai dal torpore interiore che m'aveva preso e senza parlare accolsi l'invito del contadino. Entrai in casa e una tavola imbandita mi si presentò davanti. Il contadino, si chiamava Beppe, la moglie e due figli di una decina d'anni erano lì che stavano per iniziare a mangiare. Mi invitarono ad unirmi a loro e io senza troppi salamelecchi accettai. Mangiai di gusto e quando mi offrirono da dormire mi ritirai nella stanzetta che mi assegnarono dicendo: "Grazie!". Dormii un sonno profondo e senza sogni svegliandomi di buon mattino. Dopo colazione aiutai il contadino ad arare un campo e a rimettere a posto una staccionata. Quell'attività  manuale (era la prima volta che mi cimentavo in qualcosa di manuale a parte la masturbazione) mi fece capire che non ero un incapace e che qualcosa potevo fare anche io, che Luca non era l'unico a saper fare qualcosa.
A fine giornata Beppe, col quale avevo scambiato un pò di confidenze, mi invitò a rimanere da loro per qualche giorno. Accettai di buon grado scambiando il vitto e l'alloggio con i lavori che mi avrebbe dato da fare nei giorni seguenti. Fu uno dei periodi più sereni e spensierati della mia vita ..........

» 16 anni fa
...O quasi ... Era inutile fingere. Avrei potuto ingannare qualcuno, forse ..., ma non me stesso: non riuscivo a togliermela dalla tetta, ops! dalla testa.
Mi sentivo come un elastico, di volta in volta lontano e poi vicino a lei. Quando me ne allontanavo credevo di essermene "liberato" e me ne dimenticavo quasi. In questa fase ella mi appariva come una comune mortale, con molti vizi e difetti e pochi pregi e virtù. Ma quando mi riavvicinavo mi rendevo conto che non avrei potuto fare a meno del mio "incubo", che vedevo come una semidea, alla quale ero devoto e dalla quale ero ammaliato. La mia unica salvezza sarebbe stato il punto di rottura (dell'elastico ...).
E intanto aravo il campo, arando in realtà  la vita, ed il solco sul terreno costituiva lo spartiacque tra me e lei.
Il trattore ebbe un sussulto ed il rombo del motore cessò. Percepii un rumore sordo, come una frustata. Intervenne il contadino, che diagnosticò accigliato: " porc... putt... si è rotta la cinghia della trasmissione!". Me ne rallegrai e dovetti scusarmi, adducendo una scusa inventata lì per lì. Sarebbe stato per me oltremodo complicato spiegare il concetto di metafora all'anziano fattore: si era rotto l'elastico ed ero pervenuto ad un punto di non ritorno.
Residuava un problema: l'ultima tenzone, ops! tensione, mi aveva sbalzato verso di lei o verso altri lidi? Avrei avuto ben presto risposta al dilemma ...

Glauco » 16 anni fa
Completamente diviso tra la voglia di tornare all'attacco e il periodo di convalescenza spirituale, casualmente offertami dalla famiglia di contadini, mi trovai ad incamminarmi verso il loro casale sotto un cocente sole estivo.
Mentre i miei piedi affondavano tra le zolle di terra arata, un immenso ecosistema di animali e insetti si muoveva intorno a me, e guizzava in tutte le direzioni svelando tracce di vita ovunque.
Perchè avevo una tale dipendenza da questa ragazza? Cosa mi spingeva a continuare a farmi trattare come un amico, mentre i miei desideri sarebbero stati ben altri?
Oltre al fatto, che fino a quel giorno non avevo mai trovato una pischella che mi si filasse, non trovai altra risposta...

» 16 anni fa
... Infatti non ero più abituato (ma lo ero mai stato?) ad avere la considerazione di una ragazza: ricordo come fosse ora che ella si avvicinava a me nel parlare accorciando le distanze ed io istintivamente retrocedevo in egual misura. Questo le dava particolarmente fastidio, temeva di essere rifutata, forse ... Cercai di dirle che non ce l'avevo con lei e che il mio era un atteggiamento automatico ed inconsapevole, uno strumento inconscio di difesa , forse ... Quando riuscii ad avvicinarmi con naturalezza a lei, dovetti constatare con stizza che i ruoli si erano capovolti: adesso era lei che si allontanava. Temeva, non a torto, che mi potessi spingere oltre e questo a suo dire avrebbe incrinato la nostra amicizia. Comunque era una ragazza piuttosto singolare: le piaceva essere corteggiata e stuzzicarmi. Un giorno si spinse fino a dirmi: "che vuoi da me? prendermi ... tanto non avresti le p@lle!" Le risposi a brutto muso: "non ho le p@lle? dimmi solo dove e quando ...". Non fu di parola e non se ne fece alcunché. Credo che avrebbe goduto di fronte ad una mia titubanza. In cuor suo mi considerava timido, forse ...
Un mio amico di stadio (in quel tempo non mi perdevo una partita della magica), che non aveva avuto i mezzi per continuare gli studi eppure aveva una saggezza innata, mi disse: "non vuol dartela perché teme di perderti (<<arrivederci e grazie!>>)".
A ben vedere questo coincideva con quel che sosteneva lei [l'amicizia si rovinerebbe].
La mia situazione era piuttosto ingarbugliata, direi senza via di uscita:
dare un taglio una volta per tutte, con il rischio di essere considerato incostante, un'ape che vola di fiore in fiore;
oppure volare basso e mantenere un'amicizia, del tutto disinteressata, forse ...

» 16 anni fa
... Del resto non credo che, a prescindere da Luca, avrei avuto delle possibilità  concrete con Cecilia. Non le piacevano gli uomini eccessivamente magri e per lei era importante che avessero un po' di muscoli a petto e spalle.
Questo profilo di certo mi penalizzava e a nulla sarebbe valso un recupero tardivo, perché ci sarebbe stato un altro buon motivo di diniego.
Ricordo che ai 18 anni, in occasione dei "3 giorni" della visita di leva, fui "rimandato" per il "rapporto peso/altezza"; all'epoca pesavo 57 (cinquantasette) kg. ed ero alto 178 (centosettantotto) cm.;
mi misi all'ingrasso e l'anno successivo tornai alla visita dei "3 giorni" più preparato: 63 (sessantatre) kg. x 178 cm.. Abile e arruolato (summo gaudio!).
Dei miei amici mi consideravano pazzo (sarebbe stata una costante della mia vita...) per non aver sfruttato la opportunità  di "sfangarla" [nemmeno fossi un Felipe qualsiasi con la MTB illibata ...]. Oggi, volgendo lo sguardo al passato (purtroppo remoto), posso dire che feci la scelta giusta, perché ho fatto il militare non a Cuneo, ma a Trento, x 10 mesi (dopo i 5 di corso) alla grande: dimoravo presso un agriturismo ed alternavo nei momenti liberi: bici da corsa, sci da fondo, pattini da ghiaccio (comprati in loco) e trekking.
Questa digressione per dire che sono "kapa tosta" ed andavo quindi forgiando il mio corpo con questi pettorali e questi dorsali (non disdegnando cmq gli addominali ...).
Lo facevo per me e non per lei. Peraltro il suo compagno - stando almeno a quanto mi riferì Luca - non era affatto uno "palestrato", semmai era pingue;
anche Luca, tutto sommato, non aveva un fisico straordinario e non si discostava dai miei parametri. Questo mi urtava i nervi, perché non c'era una ragione plausibile della scelta.
Luca aveva avuto solo la (s)fortuna di conoscerla anni prima in Inghilterra, dove erano andati per perfezionare la lingua. Contravvenendo alle regole della scuola, che vietavano i contatti tra connazionali, avevano cominciato a frequentarsi di soppiatto x parlare in italiano. Avevano cominciato a recarsi assieme alla scuola, poi a cena e infine a "riposare" presso un albergo ad ore, dove passava tutta la città . Le famiglie che li ospitavano, infatti, non avrebbero consentito la tresca. Che dire? Di una banalità  disarmante!
Tornati a Roma avevano continuato a frequentarsi, all'insaputa lui della moglie e lei del ragazzo.
Luca mi raccontava della (dis)avventura con gli occhi che gli brillavano.
Mi fece vedere un filmato, girato in Super8 ([lo stesso sistema che avrebbe di lì a poco reso famoso un giovane talento emergente con il film "Io sono un autarchico" (il "girotondino" de noantri ...)] per le strade Londinesi; mentre scorrevano le immagini gli brillavano gli occhi. In effetti Cecilia era una bella ragazza ed il suo volto si stagliava tra quelli dei passanti indaffarati per raggiungere il posto di lavoro, la casa, gli affetti e/o gli amanti.
Un filmato tecnicamente apprezzabile, tuttavia penalizzato da una colonna sonora giustapposta e da alcuni effetti video, che lo rendevano vieppiù banale.
In quell'occasione dissi a Luca: "Una bella gnocc@! Davvero. Ma, scusa, come ti metti con tua moglie?".
Ed egli di rimando: "Nessun problema, mi arrabatto e cmq me la sbatto finché ne ho voglia e poi la liquido. E magari la riprendo quando avrò nostalgia del suo corpo. Mi basterà  un fischio e correrà  subito da me...".
Gli battei una mano sulla spalla (o gli detti il "cinque", non ricordo) in segno di maschilista approvazione.
Allora non sapevo che questa sarebbe mutata in riprovazione ...

» 16 anni fa
... Quanto a Cecilia, negli anni a venire sarebbe stata dapprima liquidata ex abrupto da Luca e poi ripresa a suo uso e consumo.
Bastava che lui schioccasse le dita ed ella accorreva.
Rifletteva sulla ultima frase riferitami da Luca: non le era tanto piaciuta.... le aveva fatto un pò male, come mi avrebbe confidato in seguito.
Le dicevo che le cose stavano così, che ella lo sapeva bene e che non poteva nasconderselo: Luca si era (ri)affacciato, ma cercava non lei, bensì solo il suo corpo.
Cecilia era davvero inconsolabile: anch'ella lo pensava e tuttavia cercava di scacciare via quel brutto pensiero perchè dal suo canto provava (o credeva di provare ...) qualcosa di più.
Ci stava male perchè conosceva perfettamente la propria situazione e non passava giorno senza che ci pensasse. Sapeva di trovarsi in una situazione di c@cc@ per tanti motivi. Non faceva forse nulla di buono per sé, anzi si faceva del male ... Sprofondava in questa vicenda come tirata giù da un vortice e non riusciva a fare nulla per uscirne...e forse da una parte è proprio questo che non voleva ...

amaiorani » 16 anni fa
...... ma poi in fondo a me, cosa me ne fregava? Erano problemi di Cecilia, di Luca, miei solo di rimbalzo, solo perchè Cecilia la amavo(?) e basta. I miei problemi non erano quelli, erano dentro di me dentro la mia testa, dentro la mia anima in fondo ribelle di oramai uomo che non vuole uniformarsi ad un mondo dove tutto è già  scritto!
Lavoro: solo se mi serve per mangiare,
Donne: boh!
Dormire: solo quando non mi reggo più in piedi,
Letto: solo per dormire e forse per qualcos'altro,

Mi stavo mettendo da solo in una spirale che inevitabilmente mi stava portando verso l'annullamento più totale. Che dovevo fare, che volevo fare, dove volevo arrivare?
Questi pensieri mi ronzavano in testa e mi tormentavano giorno e notte e non sapevo come fare per ritornare indietro, ma volevo tornare indietro?

Quanto tempo sono andato avanti, non lo so nemmeno io! Un giorno però successe qualcosa ........

» 16 anni fa
.. O almeno credevo potesse succedere qualcosa.
In realtà  la situazione era cristallizzata. Avevo tanto commiserato Cecilia perché era in balìa di Luca, ma avrei dovuto piuttosto biasimare me stesso, che a mia volta ero ostaggio di Cecilia.
La situazione era davvero ingarbugliata, né avrebbe potuto essere risolta dal classico triangolo, perché le rispettive autovetture erano ancora marcianti.
Non appena ella mi chiamava (ac)correvo da lei a qualsiasi ora del giorno e della notte. A volte aveva semplicemente voglia di vedermi, altre volte "doveva" vedermi perché si sentiva triste ed io ne avrei risollevato il morale, divertendola, come un "giullare" tascabile.
Ero un burattino ed ella muoveva a proprio piacimento i fili.
Ma a me - direte magari che sono pazzo - tutto questo piaceva.
Passavamo le sere d'estate a scrutare il cielo blu, che occupava tutto l'orizzonte davanti a noi, tempestato di stelle gialle.
Oppure nei pomeriggi assolati io spingevo lo sguardo più in là , verso dolci colline che fuoriuscivano dai tetti aguzzi delle case. Tutto qua.
Almeno riuscivo a starle accanto, non nel senso che avrei desiderato, comunque per me era meglio di niente, un palliativo che leniva vecchie ferite, non più rimarginabili, forse ...
Le dicevo, e dicevo ancor prima a me stesso, che era passato il tempo in cui stravedevo per lei e che oramai era poco più, o addirittura poco meno, che un'amica. Sapevo di mentire a me stesso ed ella sapeva che le mentivo. Mi diceva "si, si, va bene, come dici te ...", prendendomi palesemente in giro.
Ero riuscito a non incappare in "reazioni" pericolose, facendo tesoro delle lezioni di Randazzo: "l'aliquota del dollaro canadese è scesa sotto alla soglia dello 0,6%, panico a wall street, gli azionisti svendono, se diminuisce di un punto il costo del lavoro il franco francese mi svaluta la lira";
notai che ella lasciava cadere su di me uno sguardo furtivo e lascivo di "verifica", che superai a stento ...
Era irresistibilmente bella: alta, mora, slanciata, seno prorompente, vitino di vespa, fondoschiena parlante.
Avrei desiderato coprirla di baci dappertutto e davanti a tutti.
Un tempo le avevo confidato altri due desideri, davvero inconfessabili; rimase da un lato sorpresa (sotto sotto mi riteneva timido), dall'altro lusingata (le piaceva essere ... adulata).
Oggi invece non riuscivo a farle un complimento che fosse uno ed anzi perfidamente cercavo di metterne in luce dei marginali e insussistenti difetti.
Ma ella in cuor suo sapeva che le cose non stavano così: quello che mi restava di quel giorno erano le parole dolci che mi riempivano la gola e che oramai non potevo dirle.
Comunque questa frequentazione mi faceva più male che bene, forse ... e avrei dovuto avere il coraggio di dare un taglio al cordone ombelicale.
Mi frenavano alcuni interrogativi: come avrebbe fatto lei senza di me? come avrei fatto io senza di lei? e, soprattutto, come avremmo fatto entrambi senza di noi?
Avrebbe fatto, avrei fatto e avremmo fatto, forse ...


fisio66 » 16 anni fa
......successe un sabato mattina.
Ero di ritorno dal turno di notte e per fare la solita cosa carina e scontata, ero passato a prendere i cornetti al forno a metà  strada tra casa di Cecilia e la mia. Avevo bussato alla sua porta ma non avevo avuto risposta. Così provai con il campanello ed anche quello non fu d'aiuto. Una , due, tre quattro volte. Niente. Eppure sapevo che doveva essere in casa. Lo sapevo perchè duante la notte le avevo telefonato con il mio cellulare, senza far comparire il mio numero, e lei mi aveva rsposto. L'ultima volta erano le 6, ed ancora aveva avuto la costanza di alzare la cornetta e chiedere chi era dall'altro capo del filo, come si diceva una volta.
Ora erano le 7.55, ed il suo turno sarebbe stato quello del pomeriggio. Cecilia, caposala del policlinico.
E non apriva!
Ed allora presi la decisione che mi ripromettevo di prendere per altre occasioni. Infilo la mano nella tasca del giubbotto e agguanto il mio mazzo di chiavi. Tra le altre c'e nè una, rossa. E' quella della porta di casa di Cecilia. Mosso dalla gelosia, infilo la chiave nella serratura e piano apro la porta.
Davanti a me il corridoio lunghissimo e buio. In fondo la porta del bagno, semiaperta e la luce accesa.
Silenzio. Ma dalla mia destra, dalla camera da pranzo, luci intermittenti che sfondano il gelo dell'appartamento muto.
Faccio un passo, due, tre, e sono davanti all'ingresso della camera. Il televisore è acceso ma l'audio è a zero, spettralmente afono.
La luce che si diffonde nella stanza riflette ombre sconosciute a me fino a quel momento. Guardo meglio e capisco questa incoerenza. Gli oggetti sono spostati, caduti, un bicchiere del servizio verde è infranto a terra viciono le gambe del tavolo rotondo di legno.
Guardo ancora meglio e vicino le tende, semiaperte, una pozza d'acqua.
Mi giro perchè un rumore mi gela alle mie spalle. Passi pesanti che veloci si allontanano. Un'ombra passa davanti la porta che dalla mia stanza si affaccia sul corridoio e scompare. Impietrito rimango a fissare l'entrata della stanza dove mi trovo. Passa un minuto, un secondo. Non saprei. Niente, nessun rumore. Prendo quel poco di coraggio rimastomi e mi dirigo verso l'entrata. La porta dell'appartamento ora è chiusa, ed il bagno è sempre illuminato. Ancora passi, i miei, che vanno verso quella porta semiaperta. La luce accesa è quella dello specchi del lavandino. La paura mi assale ma devo vedere cosa c'è oltre quella porta. Non ho ancora il coraggio e laforza di parlare. D'altronde Cecilia non sà  che ho la chiave del suo appartamento.
Allungo un braccio, afferro la maniglia e lentamente spingo l'uscio in avanti.
Il mio sguardo si abbassa, attirato da gocce di acqua calpestate dalla mia scarpa destra. Guardo bene, e vedo che le goccie continuano più fitte verso il lavandino. Apro ancora di più la porta ed ora posso vedere la lavatrice. Ma non è quello che mi aspettavo di vedere.
Riversa sulla lavatrice, con il ventre ed il torace appoggiato sul piano rialzabile, c'è il corpo di una donna. Le gambe penzolano all'ingiù, semipiegate, mentre le mani, legate con il filo dello stenditoio, sono fissate al porta asciugamani. Dal corpo seminudo scendono rivoli di sangue, quel sangue che la mia scarpa ha calpestato prima.
La donna è ferma, immobile, MORTA! Dalla ferita che vedo sulla nuca esce sangue. I suoi capelli sono rossi di questo licquido di morte.
Trattengo a stento un grido e faccio per fuggire via. Poi mi riesco a trattenere e mi sforzo di avvicinarmi. La guardo, ma non è lei. Non è Cecilia! Chi è questa donna?......
Rumori, serratura che si chiude. Mi hanno chiuso dentro l'appartamento!
Mi giro, guardo l'entrata, ma la porta è chiusa, nessuno oltre me.....

» 16 anni fa
... Mi alzo di scatto dal letto al suono della sveglia: era solo un sogno.
Del resto io non avevo mai avuto (e a che titolo poi?) le chiavi di casa di Cecilia. Neppure sapevo dove abitasse. Non mi aveva mai voluto dare il numero di telefono di casa, forse proprio perché non potessi rintracciarla ...
Forse altri aveva le chiavi di un'alcova ...
A questo punto nemmeno più mi interessava…avevo preso una decisone drastica:l’avrei fatta finita con Cecilia e con il mio personaggio. Dovevo tirami e tirarlo fuori da questa storia.
Tutto sarebbe stato facile: del resto lui ancora non aveva un nome, perché in fondo era un signor nessuno, catapultato per caso in un storia più grande di lui. Non riusciva a sopportare l’idea di condividere Cecilia con Luca. E pensare che ella non avrebbe mai immaginato che i due si conoscessero sin dai tempi del liceo. Erano vicini di banco. Eppure i conti non le tornavano, perché Luca aveva un paio di anni più di me. Semplice: io ero un anno avanti e lui aveva pensato bene di perderne uno per fare incrociare i nostri destini. Avevo saputo della loro relazione nel modo peggiore: li avevo colti in un bacio galeotto ed inequivoco. Non ne feci mai una colpa a Luca: egli in fondo faceva il proprio (doppio) gioco; non potevo invece tollerare che Cecilia si prendesse gioco del proprio compagno; ma cosa cercavo io? Di sostituirmi a Luca, perpetuando l’inganno.
Fatto sta che quel giorno ero adirato con lei, perché "sentivo" che l’aveva visto ed ero terribilmente geloso, senza alcun diritto. Mi spinsi anche ad apostrofarla con epiteti irripetibili. Ebbi pena di me per le ingiurie profferite. Comunque avevo avuto la riprova che non avrei più dovuto sentirla o vederla. Ci stavo troppo male. Non c’era via di uscita. Aveva ragione una mia amica, alla quale riferii un analogo proposito in epoca pregressa: “non la vedrò e non la sentirò più” ed ella “non credo ad una parola di quello che dici, comunque apprezzo i tuoi sforzi”. Più di recente le dissi “non mi interessa più, davvero” ed ella “riparliamone fra qualche giorno. Gli scalini vanno scesi uno alla volta, altrimenti ci si fa male”. Aveva ragione lei: incontrai di nuovo Cecilia, sicuro che oramai non nutrivo alcun interesse nei suoi confronti. Fu come ruzzolare giù dalle scale. Non avrei dovuto rivederla: le mie certezze vacillarono ed andarono in frantumi … E poi quella scenata di gelosia … Anche se mi costava fatica, avevo deciso che non l’avrei più vista o sentita. L’amicizia sarebbe rimasta e da parte sua e da parte mia; il tempo non avrebbe potuto cancellarla. Forse ci saremmo incontrati di nuovo a distanza di anni: io con qualche capello in meno, lei con qualche chilo in più … ci saremmo comunque abbracciati in silenzio e quell’abbraccio avrebbe colmato in un attimo il tempo che ci aveva separati, ma non cambiati. Avremmo preso il solito caffè, acceso la consueta sigaretta e ci saremmo detti: come hai fatto a stare tanto senza me? E tutto sarebbe ricominciato come prima, forse …
Quanto al mio personaggio, il vostro (e non più nostro) “libro” ne farà  tranquillamente a meno: non aveva la stoffa del protagonista e tanto meno del narratore.

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