......successe un sabato mattina.
Ero di ritorno dal turno di notte e per fare la solita cosa carina e scontata, ero passato a prendere i cornetti al forno a metà strada tra casa di Cecilia e la mia. Avevo bussato alla sua porta ma non avevo avuto risposta. Così provai con il campanello ed anche quello non fu d'aiuto. Una , due, tre quattro volte. Niente. Eppure sapevo che doveva essere in casa. Lo sapevo perchè duante la notte le avevo telefonato con il mio cellulare, senza far comparire il mio numero, e lei mi aveva rsposto. L'ultima volta erano le 6, ed ancora aveva avuto la costanza di alzare la cornetta e chiedere chi era dall'altro capo del filo, come si diceva una volta.
Ora erano le 7.55, ed il suo turno sarebbe stato quello del pomeriggio. Cecilia, caposala del policlinico.
E non apriva!
Ed allora presi la decisione che mi ripromettevo di prendere per altre occasioni. Infilo la mano nella tasca del giubbotto e agguanto il mio mazzo di chiavi. Tra le altre c'e nè una, rossa. E' quella della porta di casa di Cecilia. Mosso dalla gelosia, infilo la chiave nella serratura e piano apro la porta.
Davanti a me il corridoio lunghissimo e buio. In fondo la porta del bagno, semiaperta e la luce accesa.
Silenzio. Ma dalla mia destra, dalla camera da pranzo, luci intermittenti che sfondano il gelo dell'appartamento muto.
Faccio un passo, due, tre, e sono davanti all'ingresso della camera. Il televisore è acceso ma l'audio è a zero, spettralmente afono.
La luce che si diffonde nella stanza riflette ombre sconosciute a me fino a quel momento. Guardo meglio e capisco questa incoerenza. Gli oggetti sono spostati, caduti, un bicchiere del servizio verde è infranto a terra viciono le gambe del tavolo rotondo di legno.
Guardo ancora meglio e vicino le tende, semiaperte, una pozza d'acqua.
Mi giro perchè un rumore mi gela alle mie spalle. Passi pesanti che veloci si allontanano. Un'ombra passa davanti la porta che dalla mia stanza si affaccia sul corridoio e scompare. Impietrito rimango a fissare l'entrata della stanza dove mi trovo. Passa un minuto, un secondo. Non saprei. Niente, nessun rumore. Prendo quel poco di coraggio rimastomi e mi dirigo verso l'entrata. La porta dell'appartamento ora è chiusa, ed il bagno è sempre illuminato. Ancora passi, i miei, che vanno verso quella porta semiaperta. La luce accesa è quella dello specchi del lavandino. La paura mi assale ma devo vedere cosa c'è oltre quella porta. Non ho ancora il coraggio e laforza di parlare. D'altronde Cecilia non sà che ho la chiave del suo appartamento.
Allungo un braccio, afferro la maniglia e lentamente spingo l'uscio in avanti.
Il mio sguardo si abbassa, attirato da gocce di acqua calpestate dalla mia scarpa destra. Guardo bene, e vedo che le goccie continuano più fitte verso il lavandino. Apro ancora di più la porta ed ora posso vedere la lavatrice. Ma non è quello che mi aspettavo di vedere.
Riversa sulla lavatrice, con il ventre ed il torace appoggiato sul piano rialzabile, c'è il corpo di una donna. Le gambe penzolano all'ingiù, semipiegate, mentre le mani, legate con il filo dello stenditoio, sono fissate al porta asciugamani. Dal corpo seminudo scendono rivoli di sangue, quel sangue che la mia scarpa ha calpestato prima.
La donna è ferma, immobile, MORTA! Dalla ferita che vedo sulla nuca esce sangue. I suoi capelli sono rossi di questo licquido di morte.
Trattengo a stento un grido e faccio per fuggire via. Poi mi riesco a trattenere e mi sforzo di avvicinarmi. La guardo, ma non è lei. Non è Cecilia! Chi è questa donna?......
Rumori, serratura che si chiude. Mi hanno chiuso dentro l'appartamento!
Mi giro, guardo l'entrata, ma la porta è chiusa, nessuno oltre me.....