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Il nostro LIBRO


» 16 anni fa
Canticchiavo queste canzoni sulla via del ritorno, o meglio del non ritorno.
Maria mi aveva turbato alquanto: iniziammo una relazione pericolosa, del tutto passionale, anaffettiva. Nulla sapevo di lei, se fosse sposata o fidanzata, se avesse avuto tanti uomini prima di me, se ne avesse tuttora e quanti.
Non parlavamo, eravamo dei perfetti sconosciuti: eravamo travolti da un turbinio di emozioni e da un voluttuoso piacere. Talvolta mi diceva di Cecilia e dei suoi amanti. Io mi rabbuiavo, ma non lo davo a vedere. Non sapevo perché, o lo sapevo bene, forse ...
Gli è che con Cecilia era diverso: le davo affetto. Oh, quanto aveva bisogno di affetto, ma di quello vero, quello che non le davano nè il ragazzo nè Luca. Era sfortunata: aveva due uomini e nessuno dei due le dava quello che effettivamente voleva!
Del resto anche io avevo bisogno di affetto e lei me ne riversava a fiumi. Era solo questo che volevo darle e che volevo lei mi desse. Davvero.
Nessuno avrebbe potuto capire, sono tutti piuttosto superficiali e pensano che uno ed una siano in simbiosi solo se vanno a letto o solo per andare a letto.
Anche Maria, come tutti, non comprendeva. Decisi di non vederla più dall'oggi al domani: per me era come se non fosse mai esistita. Di tanto in tanto riaffiorava un flebile ricordo quando Cecilia la nominava, invano.

» 16 anni fa
Capitava non di rado che Cecilia, di solito piena di vita, di brio e di allegria, divenisse triste. Il suo Luca oramai aveva un proprio nucleo familiare e i loro incontri si erano diradati, quasi rarefatti.
Lei era tremendamente infelice, tuttavia preferiva sorridere e fare finta di niente. Vedeva il bichiere sempre mezzo pieno. Che forza d'animo! Avrei voluto averne la metà .
La notte non riusciva a prendere sonno: si girava e rigirava nel letto. Aveva una lucida coscienza della propria situazione. La tristezza la pervadeva fin dentro alle ossa. Era davvero inconsolabile. Non riusciva a toglierselo dalla testa questo Luca. Eppure non era il suo primo amore. Si, c'era pur sempre il suo ragazzo, che le voleva bene e forse l'amava. Ma non le bastava. Anzi, a volte era una sofferenza per lei stare con lui fisicamente e con la testa altrove.
C'erano stati periodi durante i quali aveva dovuto fare violenza a se stessa per sorridergli, per passare le vacanze con quello che gli appariva come un perfetto estraneo. Lui, poveretto, non sospettava alcunchè: la vedeva radiosa, raggiante. Non poteva sapere che quello stato di grazia dipendeva da un altro.
Cecilia era davvero inconsolabile. Si confidava con me, ci dicevamo tutto e non avevamo segreti: ciascuno viveva la vita dell'altro. Io poco potevo fare, se non spronarla a prendere una decisione chiara sul futuro: non avrebbe potuto continuare a tenere i piedi in due staffe, anzi ... in una staffa. Il suo cavallo trottava per altri lidi, aveva una stalla della quale era geloso, un ovile sicuro, un approdo regolare. Aveva una lucida freddezza ed una doppiezza di fondo, che io biasimavo. Del resto Luca era stato ambiguo sin dai tempi del Liceo: aveva una ragazzetta compagna di scuola ed un'altra vicina di casa. Ma allora avevamo sedici anni! Anche con me, tutto sommato, non si comportava bene. A ben vedere mi riteneva uno scemo, che avrebbe potuto infatuarsi di una e godere del solo fatto di parlarle, di frequentarla, al di fuori da ogni contatto fisico. Luca non poteva capire e mi prendeva in giro, dicendo a Maria che mettevo in ballo i miei sentimenti in storie del tutto platoniche, stoltamente.
Del resto lui aveva avuto sempre successo con le donne: a scuola, all'università  e al lavoro. Le lavorava ai fianchi, appariva loro come il Messia; tutte perdevano la testa per lui, per lui che a vederlo bene era del tutto insignificante, uno come tanti. Mollava una per un'altra, ma aveva l'abilità  di non rompere drasticamente i rapporti, teneva sempre una porta aperta. Non di rado lo vedevo assieme ad una sua ex. Gli chiedevo se fosse un ritorno di fiamma e lui cinicamente mi rispondeva che solo la sua vecchia autovettura ebbe un ritorno di fiamma e dovette cambiarla. Semmai erano le sue donne a reinfiammarsi per lui. Luca sapeva che sotto la cenere covava ancora il fuoco e gli bastava riattizzare il braciere ora dell'una, ora dell'altra. Era un collezionista di donne.
Io ero invece di tutt'altra pasta: non avrei saputo tenere i piedi in due staffe, perchè quando mi innamoravo, lo facevo proprio bene. Semmai sarei stato disposto a rimettere in gioco tutta la mia vita, con le lacerazioni conseguenti.
Dicevo di Cecilia: era davvero inconsolabile e votata alla infelicità  perpetua. Per me era immatura, nel senso che procrastinava sine die il momento del redde rationem. Aveva voglia di restare una eterna bambina, forse.
Mi si stringeva il cuore quando sentivo la sua voce flebile, quando vedevo il suo sguardo languido perso nel vuoto, quando cercava disperatamente qualcuno a cui aggrapparsi.
Quanto avrei voluto vederla felice! Avrei pagato di tasca mia per vederla felice, anche accanto ad un altro, fosse pure Luca.
Avrei goduto della sua felicità . Non mi sarebbe importato della mia infelicità . Davvero.
Mi sarebbero bastate le interminabili chiacchierate (ma cosa mai avevamo da dirci per ore che sembravano minuti?). Mi sarebbero bastate le lunghe passeggiate e i silenzi pieni di parole.
Una cosa temevo, ma non ebbi mai il coraggio di dirlo a Cecilia: di essere accantonato come un disco che si ascolta e poi si si getta via [http://www.italianissima.net/testi/applausi.htm] allorché ella avesse finalmente raggiunto la felicità , che agognava.

Glauco » 16 anni fa
Una sera decisi che la storia doveva prendere una svolta definitiva.
Potevo trascorrere anni fra i se e i forse?
Un cerebrale come me, quanto avrebbe ancora dovuto elucubrare su questa situazione?
Una svolta, si, qualcosa di dastrico che mi avrebbe fatto soffrire alla follia...però, a pensarci bene, altro non era che una guarigione.
Autolesionismo? Tuttaltro, il piano che andavo elaborando era la prima aziona buona nei miei confronti.
Parlarne, parlarne, pensare, e se lei, e se io, però Luca, ma il suo ragazzo, poverina, mascalzone....mi guardai in uno straccio di specchio e capii in un attimo di vivere una vita solo virtuale, paranoide e ovviamente solitaria.

L'azione che avrei messo in atto da lì a poche ore, finalmente aveva il sapore della vita e non della muffa dei soliti pensieri stantii.
"Era ora!" dissi esasperato a me stesso, presi il telefono in mano e cominciai a sfogliare la mia agendina.

» 16 anni fa
Ma l'agendina ricordava quella del "bullo" interpretato da Verdone nel film "Un sacco bello" ... alla "O" Olimpico (Stadio) e alla "S" Stadio (Olimpico) ...
E così alla "C" avevo Cecilia, alla "B" Bona (Cecilia), alla "C" gran c... Cecilia e via dicendo ...
Per me era croce e delizia e anche testa (una questione di ...).
Io ero in altre faccende affaccendato, è vero; giammai avrei rivolto le mie attenzioni verso altri lidi. E poi ero piuttosto religioso e ligio al comandamento: non desiderare la donna d'altri. E Cecilia in effetti non era di un altro, era di altri.
Ciò nonostante, un giorno accadde qualcosa: eravamo assieme ad altri amici comuni, senza Luca, trattenuto dal lavoro, a fare un percorso di trekking. Cecilia era proprio una sportiva di razza, tutti dicevano: "Che razza di sportiva!". Quel giorno ricordo che arrivammo per primi alla meta e avevamo inflitto agli altri mezz'ora di distacco inerpicandoci per le scorciatoie. Finalmente soli, senza Luca, senza il ragazzo. Presi il coraggio a tre mani, ops, a due mani: le asciugai il sudore dalla fronte e le pettinai i capelli all'indietro. Socchiusi gli occhi in attesa di un bacio, solo sulle labbra. Sentii le mie sfiorate da un qualcosa di indefinito e di indefinibile, come un pelouche. Avevo tanto sognato quel momento ... Eppure Cecilia non era affatto "baffuta", né "irsuta" ... Qualcosa non era andato per il verso giusto ... Pensai che avevo fatto bene a non metterci la lingua ... Riaprii gli occhi: lei era davanti a me, con uno sguardo sornione ... rideva sotto i baffi (metaforicamente); non capii come e perché, ma ebbi la netta sensazione di essere stato fregato ... Neppure glielo dissi. Nel frattempo eravamo stati raggiunti dagli altri amici. Mangiammo al rifugio in una grande tavolata: io ad un capo, Cecilia all'altro. Accatastammo gli zaini su di un paio di sedie. Solo allora vidi che da uno ciondolava un pelouche ...

Glauco » 16 anni fa


Ma l'agendina ricordava quella del "bullo" interpretato da Verdone nel film "Un sacco bello" ... alla "O" Olimpico (Stadio) e alla "S" Stadio (Olimpico) ...
E così alla "C" avevo Cecilia, alla "B" Bona (Cecilia), alla "C" gran c... Cecilia e via dicendo ...

Tipsy
:gaa: :gaa: :gaa: :gaa:

» 16 anni fa
E insomma ... Passavamo ore al telefono io e Cecilia senza sapere perké, o meglio lo sapevamo: stavamo bene quando eravamo lontani. Non di rado scemava addirittura il desiderio di vedersi, in quanto virtualmente appagati.
Parlavamo di tutto e di più, senza remore e senza tabù. Ci spingevamo in discorsi piuttosto arditi e giocavamo sulle nostre condizioni, sui vestiti indossati, su quelli tolti, su quello che avremmo fatto se fossimo stati a tu per tu, senza falsi pudori. Un'escalation inarrestabile e spesso frenata e franata dal brusco richiamo alla realtà : Cecilia allora cambiava repentinamente umore, si pentiva delle parole, delle eventuali aspettative ingenerate nell'interlocutore. Pensava al suo ragazzo e soprattutto a Luca, che l'aveva sempre rimproverata per la sua apparente "leggerezza". Da che pulpito viene la predica!
La condanna di Cecilia era che tutti coloro che l'avvicinavano lo facevano solo per portarsela a letto. Non di meno ella non si concedeva: era tutt'altro che una ragazza facile, checché ne potessero pensare le persone che la frequentavano e i vicini di casa. Era semplicemente irrequieta. A mio modo le volevo bene e la rispettavo. Avrei aspettato il mio turno, anche sino alla fine dei miei giorni. Non senza qualche intemperanza, lo ammetto. Quello che non potevo sopportare è che lei dicesse che io ero come tutti gli altri: la frequentavo solo per portarmela a letto. Non nego che la eventualità  mi facesse piacere, né che non l'avessi contemplata, ma non era il mio scopo, ops fine, precipuo. Del resto ne ero diventato amico intimo oramai da lungo periodo e non ero certo votato ai tempi biblici dell'eroe omerico.
Ella mi feriva, davvero: così creava una frattura, destinata a consolidarsi, forse ...; ma le cicatrici e il vulnus permanevano indelebili.

» 16 anni fa
Eravamo giovani e spensierati, forse. A Cecilia piaceva mordere la vita, giorno e notte.
Aveva più tempo libero rispetto a me e a Luca, che frequentavamo, con alterne fortune, l’università ; lei no, non che non avesse i numeri: era semplicemente pigra.
Luca non mi andava a genio; fondamentalmente ero geloso del suo rapporto privilegiato con Cecilia.
Il fatto è che dovevo pur essergli grato, perché senza di lui non l’avrei mai conosciuta.
Per questo mi maceravo, dentro.
Qualitativamente il mio rapporto con Cecilia era denso di soddisfazioni, perché era di tipo cerebrale, simbiotico e non grevemente materiale. Tutto questo, però, mi puzzava di “aglietto”…
La domenica mattina, avevo venti anni, ero solito farle delle improvvisate; salivo sul tranvetto della Casilina e le portavo la colazione: un maritozzo con la panna. Ah, quanto le piaceva la panna!
Si affacciava all’uscio di casa come un ectoplasma; alle 9:30 del mattino era in coma, una sonnambula che vagava per la casa; i suoi, lavoratori indefessi, dormivano per recuperare le fatiche della settimana lavorativa. Ma lei che dormiva a fare? E poi anche i feriali …
Una di quelle domeniche avevo deciso di dare un taglio definitivo alla nostra storia. Ma quale storia? Avevamo discusso la sera prima. La trita questione che io sarei stato come tutti gli altri e la frequentavo solo per portarmela a letto …
Mi presentai come di consueto alle 9:30 del mattino, con due maritozzi con la panna.
Barcollante mi preparò il caffé con un prototipo di quei marchingegni elettrici, che sarebbero divenuti negli anni di uso comune. Buono. Si era svegliata, almeno un poco. Aveva programmato la sua mattinata con me: saremmo andati al mare e avrebbe concesso un po’ di riposo al suo corpo ed al suo Luca. E al suo ragazzo, ma non era una novità .
Sorseggiai il caffé. I maritozzi facevano bella mostra di sé sul tavolo della cucina, una Salvarani in fòrmica all’ultima moda. Con una scusa presi la porta di casa e mi allontanai; le dissi che non mi ritrovavo in tasca duemilalire (con cui avremmo svoltato la giornata) e che volevo cercarle facendo il cammino a ritroso dalla fermata del tranvetto, distante 150 metri. Sapevo che non sarei tornato sui miei passi.
La immaginavo mentre addentava il maritozzo, sbirciando sotto il vassoio un foglio piegato in quattro. La mia lettera di addio.

"Cecilia cara,
non passare con te questa giornata tanto agognata [dal latino agoniare = lottare e stare in ansia (stessa radice del vocabolo agonia)] mi procura una sofferenza indicibile;
non di meno è una scelta obbligata: le tue parole di ieri mi hanno ferito. Può darsi che tu abbia ragione, chissà  â€¦ Credo -e credimi- che non ti sono amico perché voglio portarti a letto.
Non voglio dire che tu non sia riuscita a comprendere chi sono e come sono durante questa correlazione in continua evoluzione; sarei ingiusto.
Dico allora che non sono io riuscito a spiegarmi, ad aprirmi, a far trasparire il bisogno di affetto che ho, la necessità  di recuperare, forse, del tempo perduto.
Dicevo che le tue parole mi hanno ferito, ma anche fatto riflettere. Così come mi ha sorpreso il tuo repentino cambiamento di umore, dettato non dalla autocoscienza di un gioco “eccessivo”, ma dalla eterocoscienza, che ti ha indotto sensi di colpa che non devi avere, perché per me sei e rimani candida, dentro. Non posso sopportare l’idea che altri da lontano influisca sul nostro rapporto amicale, predicando bene e razzolando male. E poi non tollero prediche da cotanto pulpito; tu sei libera di farlo, io non voglio subirne le conseguenze, sia pure mediate o indirette."

Ce l’avevo con Luca. All'epoca scrivevo benino, non soffrendo della 'sindrome di Immanuel', che per (s)fortuna non era ancora nato. Anticipavo nella lettera la prevedibile risposta di Cecilia: sosteneva che io pensassi troppo, che mi facessi delle pippe mentali.
"Saresti fuori strada e dimostreresti una volta per tutte di non comprendermi e nemmeno di tentare di capirmi o forse di non volermi “ascoltare”.
Perdonami, se puoi, sono piuttosto complicato, destinato ineluttabilmente a soffrire e, forse, a far soffrire; dal canto mio non riuscirò mai a perdonarmi …
Ti abbraccio forte forte forte."


Per mia fortuna all’epoca non c’erano i telefonini cellulari (né i PC). Comunque l’avrei staccato.

Tornato a casa rinvenni due messaggi di Cecilia sulla segreteria telefonica.
Il primo un “appello” sibillino: “Per favore, torna indietro, devo darti una cosa …”.
Il secondo più drastico: “Hai rovinato tutto!”

Fui tentato di richiamarla. Caddi in tentazione: la chiamai.
La sua voce era flebile, la mia incerta. Mi confermò che era tutto finito tra noi. Non poteva fidarsi di uno incostante e metereopatico come me. Lì per lì me ne rallegrai, forse. Avevo conseguito il mio scopo: rompere definitivamente quel precario equilibrio, spezzare la corda tesa.
Stavamo per salutarci come due perfetti estranei. La mia voce, tuttavia, era rotta dalla emozione. Cecilia percepì il mio stato d’animo. Non di meno mi congedò con un “Addio”. “Come vuoi”, le risposi. Stavo per riattaccare la cornetta sul telefono nero che faceva bella mostra di sé nel corridoio, appeso alla parete, quando udii dall’altro capo: “Senti, io c’ho fame … perché non andiamo a mangiare un boccone da qualche parte?” La immaginavo con i suoi occhi vispi e furbi accanto al telefono in onice, posto su di un piedistallo in legno ad un lato del soggiorno. Le dissi: “Va bene, tra mezz’ora a San Lorenzo, dal <<re della mezza>>”.
Era una bettola ad uso degli studenti universitari, che noi vezzosamente chiamavamo “il re della mezza”, mutuando il termine dal film “C’eravamo tanto amati”.

Arrivai puntuale, ma Cecilia non c’era. Pensai al tipico contrappasso. Me lo sarei meritato. Stavo per tornare mestamente a casa, quando sentii la sua voce. Ci abbracciammo come due vecchi amici. Ci discostammo repentinamente. Le domandai di quella cosa che aveva detto di dovermi dare. Mi disse che era una sorpresa e mi invitò a chiudere gli occhi. Confesso che pensavo ad un bacio, un casto bacio sulle labbra. Avvicinai il volto verso di lei. Mi arrivò un sonoro ceffone sulla guancia, che mi ridestò dalla illusione. Era soddisfatta. Aveva lavato l’onta subita.
Mangiammo non ricordo cosa. Lei bevve solo un bicchiere di vino della casa, davvero pessimo, e sgranocchiò dei grissini. Non aveva più appetito. Le interessava solo confidarmi il suo vissuto e gli abbandoni in serie che aveva subìto. Stetti ad ascoltarla, assorto. Mentre parlava con gli occhi lucidi sembrava regredire in se stessa, non solo metaforicamente, ma anche fisicamente. Un uccellino spaurito, che cercava un approdo sicuro. Mi si strinse il cuore. Avrei voluto sparire per quello che le avevo combinato solo poche ore prima. Per fortuna avevo posto rimedio alla “rovina di tutto”. O aveva lei deciso di porvi rimedio, forse …

Glauco » 16 anni fa



"Cecilia cara,
non passare con te questa giornata tanto agognata [dal latino agoniare = lottare e stare in ansia (stessa radice del vocabolo agonia)] mi procura una sofferenza indicibile;
non di meno è una scelta obbligata: le tue parole di ieri mi hanno ferito. Può darsi che tu abbia ragione, chissà  â€¦ Credo -e credimi- che non ti sono amico perché voglio portarti a letto.
Non voglio dire che tu non sia riuscita a comprendere chi sono e come sono durante questa correlazione in continua evoluzione; sarei ingiusto.
Dico allora che non sono io riuscito a spiegarmi, ad aprirmi, a far trasparire il bisogno di affetto che ho, la necessità  di recuperare, forse, del tempo perduto.
Dicevo che le tue parole mi hanno ferito, ma anche fatto riflettere. Così come mi ha sorpreso il tuo repentino cambiamento di umore, dettato non dalla autocoscienza di un gioco “eccessivo”, ma dalla eterocoscienza, che ti ha indotto sensi di colpa che non devi avere, perché per me sei e rimani candida, dentro. Non posso sopportare l’idea che altri da lontano influisca sul nostro rapporto amicale, predicando bene e razzolando male. E poi non tollero prediche da cotanto pulpito; tu sei libera di farlo, io non voglio subirne le conseguenze, sia pure mediate o indirette."

Ce l’avevo con Luca. All'epoca scrivevo benino, non soffrendo della 'sindrome di Immanuel', che per (s)fortuna non era ancora nato. Anticipavo nella lettera la prevedibile risposta di Cecilia: sosteneva che io pensassi troppo, che mi facessi delle pippe mentali.
"Saresti fuori strada e dimostreresti una volta per tutte di non comprendermi e nemmeno di tentare di capirmi o forse di non volermi “ascoltare”.
Perdonami, se puoi, sono piuttosto complicato, destinato ineluttabilmente a soffrire e, forse, a far soffrire; dal canto mio non riuscirò mai a perdonarmi …
Ti abbraccio forte forte forte."


Tipsy
Bella lettera...ma oltre a due o tre alieni di passaggio, chi sarebbe in grado di scrivere così a vent'anni? 8)

P.S. Lo so cosa vuol dire sentirsi alieni in terra; credo che sia lo stesso motivo per cui Cecilia ti sarebbe sfuggita per sempre. La diversità  piace ma respinge molto.

P.S.bis. Ho scritto qui il mio commento, perchè non lo ritengo distruttivo e anche perchè, ahinoi, lo leggiamo solo in tre. :(

» 16 anni fa


P.S.bis. Ho scritto qui il mio commento, perchè non lo ritengo distruttivo e anche perchè, ahinoi, lo leggiamo solo in tre. :(

nobum
Secondo me lo leggiamo solo in due ...
La verosimile inclusione di Cecilia, personaggio fantastico, "vitiatur et vitiat" (è viziata e vizia).

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